Dopo avermi squadrato per bene dalla testa ai piedi, mi disse: “quindi lei è giardiniere…”
Risposi: “si, giardiniere e vivaista per mestiere e per passione. Ma quando posso vado per boschi e montagne a cercare animali e ovviamente piante, da fotografare. Si faccio questo, ne di più ne di meno…”.
Forse il Dott. Carlo si aspettava chissà quale personaggio, forse un grezzo incrocio tra un contadino e un boscaiolo, oppure un raffinato architetto in chiffon, come ormai se ne vedono tanti, alle fiere di grido, ai vernissage dove viene presentato il parco concettuale, poi dimenticato nelle ortiche…perché la natura, e qui lo dico fin da subito, non dimentica mai.
Il Dott. Carlo aveva avuto il mio numero di cellulare da una amica comune e come talvolta accade, Lei aveva parlato fin troppo entusiasta di me e dei giardini che realizzavo. Probabilmente ne aveva deviato, come solo una vera appassionata di piante e fiori sa fare, i pensieri e le aspettative del volenteroso Dottore. Infatti dopo un po’, il posato Dottore e chirurgo, aggiunse: “no perché, vede, caro sig. Maurizio, io vorrei un giardino dove non metterci troppo le mani e Lei mi parla di prato con le margherite, di aiuole piene di fiori e di laghetto per i rospi. Uhm…forse dal giardiniere che mi aspettavo io…Si, insomma credevo, speravo, mi attendevo uno stile meno impegnativo…”.
Con il Dott. Carlo ci congedammo appena il sole mi costrinse ad infilarmi il cappellino ormai logoro ma efficace, poco prima di un mezzogiorno caldo e torrido di fine maggio. Capivo man mano che procedeva la mattinata che avrei avuto problemi a realizzare ciò che Lui chiedeva, non che mi sarebbe stato impossibile ma difficile si. In effetti per un giardiniere che si reputi tale e che sappia portare con onore il proprio “titolo” la parola “impossibile” non dovrebbe esistere. Presunzione? Arroganza? Follia? No…nulla di tutto questo, il giardiniere è per definizione colui che coltiva il Paradiso, quindi cosa volete che sia sostituire un tubo, fare un solco con la zappa, segare un ramo con un segaccio e ovviamente piantare un albero, un arbusto, una siepe, seminare; o cose più tecniche e complicate come sistemare una lampada difettosa, mettere a punto i programmi di un piccolo computer per l’irrigazione, aggiustare una panca mezza arrugginita e traballante, affilare la lama di un motosega, pulire il carburatore di un trattorino….volete che continui? Attenzione posso farlo per pagine e pagine, perché il vero giardiniere sa fare tutto un po’; ma c’è una cosa sopra tutte le altre che dovrebbe saper fare, la più preziosa che un “vero” giardiniere dovrebbe conoscere per appiopparsi il nobile titolo: deve assolutamente saper inventare (o ideare e magari disegnare), poi tracciare e infine costruire, portare a termine il giardino nello stile richiesto. Quindi, se il desiderio è un giardino Zen, perché no? Perché non soddisfare questo bel sogno. In fondo è il proprietario che abiterà la sua casa e tutte le mattine si alzerà dicendo: “io sono libero dai fardelli, io sono contemplativo, io amo l’ordine e la natura rappresentata, io desidero equilibrio e serenità sul mio viso, nel mio bagno, in auto, i miei vestiti, e ovviamente il mio giardino: che deve essere “Zen”. Minimalista, perfetto, senza fiorellini fuori posto, senza quei orripilanti bruchi che passeggiano sulle foglie, con il masso che simboleggia il Monaco che racconta la parabola della carpa centenaria, con il giusto ritmo di 3,5,7 azalee, ne una di più ne una di meno”. A questo punto pregherei i pseudo giardinieri increduli, su quanto ho appena espresso, di verificare ogni buon testo originario Giapponese in cui siano riportati i codici scritti per eseguire il vero giardino Zen: un vero esercizio di rigore giapponese, altro che storie….
Ma torniamo al mio Dott., Il Dott. Carlo, che mi aveva semplicemente fatto superare quella fatidica ora in cui il sole diventa pignolo, gli zuccheri si abbassano (quindi la fame sale), e senza nemmeno avermi offerto un bicchier d’acqua mi elencò, lui si, una lunga sfilza di piante, materiali, forme, che non avrebbero dovuto avere accesso al suo futuro giardino. Semplicemente desiderava un giardino molto formale, magari tutto verde di verzura settecentesca, con un prato impeccabile: verde come una moquette, come un panno da biliardo, e come nel biliardo perfettamente in piano, senza alti e bassi, senza colore, senza alberi dal fogliame caduco…
”Oddio, quelle orribili foglie da spazzare in autunno…” disse.
E aggiunse: “ vorrei che non ci fossero fiori; guardi io non ho tempo, io lavoro tutta la settimana, io sgobbo e torno tardi. Guardi, sig Maurizio, io i fiori al massimo li vorrei di seta nell’entrata, ma in giardino no.”
Presi un po’ di fiato, mentre le nuvole iniziavano a montare da Est, lo sapevo, la giornata si sarebbe guastata con l’ennesimo temporale. E mentre il dottore terminava di elencarmi i suoi “no” a quello e “no” a quell’altro, la mia mente ormai era distratta e andava ai vasi che probabilmente avrei dovuto rialzare dopo la burrasca, alla grandine che ultimamente, e grazie all’effetto serra (di carbonio e altri gas schifezza…), s’infilava sotto le reti per martellare qualche pianta ai margini del vivaio, al carretto di echinacee pronte per essere sistemate ma ancora da sistemare, ai sacchi di terra asciutta da ricoprire che altrimenti sarebbero diventati fango, alla poltiglia bordolese che l’indomani avrei dovuto irrorare per limitare i danni del fortunale ecc ecc. Ne sono certo, il bicchiere d’incomprensione, se volete chiamarlo così, era colmo…bastava una goccia, che puntualmente arrivò.
“Senta sig. Maurizio, lei mi dice che un prato rustico e delle aiuole con graminacee e arbusti da fiore sarebbero l’ideale per questa casa, per la campagna intorno e anche per mia moglie. Ecco mia moglie si…. Lei indubbiamente ama i fiori”.
Ancora non capivo come poteva continuare a tenere ben posate e ferme le mani nelle tasche della sua bella giacca di lino. Senza gesticolare almeno un po’, senza descrivere nell’aria almeno un segno, una traiettoria…nulla, in perfetto stile anglosassone, al massimo dondolando il corpo lievemente avanti e indietro, alla ricerca di equilibrio.
Non sarebbe stato ne il primo ne l’ultimo dei miei possibili clienti a rimanere insoddisfatto della mia “momentanea” incapacità o dalla mia estemporanea inadattabilità al clima, all’ora, alla altrui indisposizione ai fiori, alle api e alla natura in genere. Decisi che era venuta l’ora di pranzo, anzi lo decise il mio stomaco che alla velocità della luce mise in moto la mia lingua assetata e affamata, ma risposi diplomaticamente, perché l’esperienza in questi frangenti mi aiuta molto, credo.
“Dott. Carlo, mi spiace ma sono sicuramente inadatto a costruire un giardino come lei mi chiede, perché vede Dott. Carlo: ritengo che il tempo sia il vero valore da perseguire in un’opera. Lei mi chiede qualcosa di pratico che pratico non lo è affatto. Lei desidera qualcosa da ammirare che vorrebbe tante, tantissime-issime ore per una manutenzione meticolosa e molto, molto costosa. Servirebbero giardinieri capaci che verrebbero nel suo giardino con una tale frequenza da esser considerati parte della famiglia. Servirebbero costanti trattamenti antiparassitari ai funghi e agli insetti, settimanali se volesse veramente un giardino con i canoni che lei mi descrive. Servirebbero periodiche concimazioni e non di letame ma complesse miscele chimiche, costose quanto un medicinale. Un impianto d’irrigazione anch’esso costoso e precisissimo che non mancasse di controllare lo stato dell’umidità dell’aria e del terreno con sensori dedicati. Servirebbe quindi tanta acqua, quanta nemmeno un campo di insalate richiederebbe. Su tutto questo ci metta i costi di costruzione che sarebbero doppi o tripli al giardino che invece io potrei idearle e costruirle.”
Alle parole “meticolosa”, “costosa”, “letame”, “costi”, “doppi e tripli”…aggrottò la fronte più volte e finalmente mi liquidò con una bordata che conosco benissimo, una frase che non lascia scampo, ne a me che faccio il giardiniere ne al bottegaio che vende chiodi o trapani, ne al mobiliere che vende tavoli e sedie. Insomma una frase codice di quelle che nel commercio tutti conoscono. Un segnale rosso di divieto di accesso: “ Facciamo così, sig Maurizio: ci penso su un po’ e poi sicuramente mi farò sentire…”.
Ovviamente non lo risentii mai più.
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