Tutti stiamo vivendo momenti che verranno ricordati dalla storia. Non c’è dubbio, sono giorni e mesi di profonda mutazione della società e dell’economia. Certamente avremmo preferito continuare la nostra vita indisturbati ma forse è la natura stessa che ci parla, seppure attraverso il meno convenzionale dei linguaggi, un modo di comunicare drammatico, ma nella sua tragicità piuttosto efficace. Il messaggio è chiaro, solo gli stupidi non ci fanno attenzione: bisogna andare più piano, bisogna vivere più profondamente le emozioni e i rapporti umani, così come quelli con le piante, gli animali e la terra.
I giardinieri, questo strano popolo idealista e alla ricerca costante della bellezza, non sono stati risparmiati dagli effetti del virus. La malattia avrà tanti difetti ma non certo la mancanza di democrazia. Anzi, il nostro settore come tutti coloro che producono piante e fiori è uno dei più danneggiati. Eppure noi giardinieri e amanti della natura, sapevamo e avevamo già abbastanza compresa la lontananza che si andava delineando tra terra e umanità, il solco profondo che da decenni sta separando le nostra esigenze vere e presunte da un equilibrato e saggio vivere in questo mondo. Noi giardinieri lo abbiamo sempre saputo che il giardino aiuta, salva e mette in diretta comunicazione il creato con il creatore, una doppia linea telefonica in cui giardiniere e giardino possono tranquillamente scambiarsi i ruoli fino a diventare la stessa cosa. Foglie, cortecce, fiori, forme, colori, suoni, profumi…in quello spazio delineato e accudito c’è il tutto: l’essenza della nostra mente così come lo spirito della natura.
Noi giardinieri sappiamo che ogni organismo vivente se supera i pericolosi limiti del “sopportabile” lascia spazio e strada ai pochi agenti limitanti che ancora possono agire efficacemente sulla nostra specie, in questo caso non certo un leone, giammai una tigre dai denti a sciabola e men che meno un alieno verdastro munito di alabarda luminosa. Accade in tutti i sistemi naturali, su ogni fiore e foglia del nostro pianeta, in ogni formicaio come in ogni popolo di uccelli, sulla cima di una montagna come sul fondo del mare; c’è sempre chi porta o tenta di riportare l’equilibrio. Per noi questa volta è stato un minuscolo individuo, centinaia di volte più piccolo delle nostre pur piccole cellule, ad infilarsi nel sistema affaticato, stressato, impaurito e alterato dell’umanità intera. Questa volta non sono bastati fiori, preghiere e medicine. La falce epocale falcia dove siamo più deboli, e si farà ricordare.
Stiamo vivendo attimi di surreale vicinanza con noi stessi, con i nostri incubi e i nostri sogni. Divisi da muri e paure, viviamo l’isolamento e inevitabilmente vediamo affiorare come la crema sul latte ciò che siamo profondamente e ciò che vorremmo essere. Nei giorni che verranno dopo il disastro dobbiamo ricordarci quanto abbiamo provato e nei limiti delle singole capacità cercare di mettere in pratica, di attivare e possibilmente realizzare, quello che vogliamo essere realmente. Dopo un’esperienza di questo tipo credo non sarà il denaro a muovere gli spiriti, mi piace pensare che diventerà una ricerca della felicità e ovviamente ad un rapporto più vicino e profondo con la terra. Mi piace pensare, e noi tutti giardinieri lo auguriamo, sarà il desiderio di bellezza a prevalere su tutto il resto. Il giardino, le piante, i fiori, gli alberi, il nostro spazio di serenità e salute, diventerà il nostro obiettivo primario, lo scopo negli anni che verranno. Solo così possiamo dire di avere imparato la lezione.
Maurizio Zarpellon
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