Limone Piemonte, Frabosa Soprana, Acceglio, Entracque, Prato Nevoso, Sampeyre, Crissolo, Chiusa Pesio, Demonte, sono solo alcune delle cittadine che fanno da ombelico nelle numerose vallate della provincia di Cuneo. Per i cuneesi rappresentano la culla dello sci e del turismo invernale, il luogo dove per primi si sono inventati l’arte di scivolare sulla neve. Da sempre frequentate anche da Liguri e monegaschi, per la comodità della loro posizione, offrono piste adatte a tutte le specialità con relativi impianti di risalita tecnologici, alberghi, spa, ristoranti per tutte le tasche.
Sempre legato al turismo funziona benissimo anche una ricettività formata da una rete di rifugi alpini di prim’ordine, sempre molto frequentati da alpinisti ed escursionisti, anche tedeschi, svizzeri e ultimamente olandesi. Quindi il turismo è il motore del luogo, quello che da pane e companatico in quasi tutte le case, l’attività che ha sempre un buon supporto sul fronte politico e amministrativo.
Quello che ancora manca di adeguata considerazione è un piano del verde rispettoso della montagna e della sua flora. Infatti, in quasi tutte le principali cittadine dell’arco alpino occidentale sono veramente rari i casi di sinergia tra amministrazioni comunali e verde privato. I primi si accontentano di rinverdire alla bell’è meglio i propri spazi pubblici e quando va bene a mantenerli nel tempo con tagli e potature, mentre i secondi… beh, i secondi sono l’anarchia assoluta.
Dovrebbero essere gli stessi municipi a prevedere una lista di piante adatte al luogo sulle quali basare i propri giardini. Soprattutto le aree private adiacenti alle pubbliche vie si dovrebbero uniformare nella scelta di piante da siepe, così forse un giorno si avrebbero dei paesi non più simili a patchwork di libera interpretazione, ma un insieme che possa offrire al visitatore una forte impressione di unità, almeno abolendo tutte quelle specie che non siano proprie dell’ambiente montano.
Girovagando per le viuzze dei paesi di montagna ci si imbatte ancora in siepi di Laurocerasus come di Leylandii, oppure goffi tentativi di far sopravvivere rosmarini e oleandri, per non dire degli onnipresenti aceri giapponesi e delle finte cascatelle in plastica che addobbano finti angoli di roccaglia in stile “frana”, addirittura giardini rocciosi in blocchi di tufo che vanno a sostituire la pietra locale. Senza imporre nulla, ma spiegando e coinvolgendo si riuscirebbe ad ottenere un giardino-paesaggio di grande valore, prima di tutto a vantaggio proprio del turismo. Per esempio, spiegando agli abitanti che un vaso sul balcone può essere interpretato anche con campanule e salvie, con genziane e graminacee.
Il nostro territorio alpino è un tesoro inesplorato, per molti decenni rimasto addirittura sconosciuto e ripudiato ma questo è il momento ottimale per dotarsi di mappe e andare alla ricerca del nostro tesoro. Come in tutte le località belle d’Italia, ma innanzitutto qui, c’è da fare un gran lavoro di archeologia: scavare a fondo, mettere alla luce il bello e valorizzarlo. Per fare questo abbiamo bisogno di consigli efficaci che in certi casi diventino anche “doveri”. Se devo progettare un giardino di montagna non posso transigere dall’utilizzare il pino cembro, il mugo, il maggiociondolo o il carpino invece dell’oleandro o del lauroceraso. Se devo appontare delle aiuole devo sapere che oltre all’azalea e alla camelia o all’acero palmato esistono possibilità migliori come gli arbusti da fiore rustici (senz’altro le rose rugose), molti cespugli da bacca, per non dire delle migliaia di possibilità date dalle erbacee perenni originarie del territorio alpino o comunque rustiche e adatte al clima.
Con le piante, i fiori e tutta la cultura che ne consegue (quella erboristica in primo luogo…) si darebbe una marcia in più a supporto di quella montagna sempre troppo legata alle stagione invernale. Piante e fiori diventerebbero il motivo stesso per conoscere posti nuovi, che trasudano tradizione e cultura, tesori inaspettati.